Ne ho viste tante nella mia vita. Ma che si potesse ancora rubare un capolavoro d’arte come il Federico da Montefeltro agli Uffizi di Firenze… Ma poi lasciando la povera Battista Sforza da sola, a guardare nel vuoto all’interno del quadro gemello?
Ho i miei anni. Ormai l’Arma mi tiene soltanto per le scartoffie. Lo capisco. È normale. Li vedo i miei giovani colleghi, aitanti, pieni d’energia. Che cosa volete, ormai sono a due anni dalla pensione e non fanno per me le azioni importanti.
Però quando si tratta d’arte… Chi se lo aspettava? Tutta quella faccenda mi ricordava gli anni della gioventù. Ma adesso era impensabile che in mezzo a rapine, omicidi, tafferugli, manifestazioni, se ne uscisse fuori di nuovo un furto d’arte. Nel 2014.
Nessuno rubava più quadri e se lo faceva non provava certamente in uno dei più sicuri e sorvegliati del mondo. Ma se succedeva, la mia passata esperienza faceva sì che qualcuno si ricordasse di me. In passato avevo lavorato proprio in quel campo con discreto successo. Ma non mi piace parlare molto di me.
Quel giorno, comunque, me ne stavo rilassato alla festa rionale del mio paese. Con la famiglia mi stavo godendo le leccornie di Natale offerte dal banchetto di Catia R., carissima amica. Ma non ci sono giorni di festa per l’Arma. E il mio vecchio cellulare, stanco, affaticato, silente per lo più, tornò a squillare insolitamente con il numero della Caserma impresso.
E quindi eccomi lì, a cercare di sbrogliare una matassa molto complicata per trovare un minimo di traccia che ci permettesse di risolvere il caso rapidamente. In questi casi, è noto, se l’opera non salta fuori entro 48 ore, soltanto Dio può sapere dove sia andata a finire.
L’unica nota strana è che i commercianti della zona segnalarono quasi tutti di una strana centaura, a cavalcioni di una moto potente, che nelle ore in cui il furto si era tenuto aveva lasciato le zone antistanti il Museo ad una velocità assolutamente insolita. Impossibile pensare che il quadro fosse con lei, comunque, non aveva né borse né zaini.